Il lampione sudava gelo dal profumo metallico. –Chi osa sempre solo è e l’oscurità trova davanti a sè- recitavano alcuni graffi appena accennati sul tubo dal ripieno luminoso. –Sarà...- pensò Camilla tra se inforcando gli occhiali cadenti, il freddo le punzecchiava il naso. Ogni mattina il lungo viale appariva color petrolio mentre due lampioni situati ai lati opposti della strada inzaccheravano l’ambiente come due piccoli atolli innevati. Quel maledetto autobus era sempre in ritardo, e lei continuava a ricontrollare l’orario appeso ogni santo giorno, si premurava ossessivamente di verificare che non ci fossero apostille, apostrofini dalla legenda intricata del tipo valido solo sabato festivo ma non tra il 12/6 e il 15/8 eccetto direzione Prandetti dal 17/3 al 12/4.
Finalmente da lontano due piccoli anelli luminosi rinfrancavano Camilla che ancora una volta ce la faceva ad arrivare per le 5.50 puntuale puntuale all’apertura dei forni. A dirla tutta la sua ansia aveva un’origine molto più ingarbugliata. Da oramai un anno si era accorta che dall’altro lato della strada, sotto il lampione antistante, si fermava sempre un uomo, un tale mal acconciato che vestiva una giacchetta bisunta e che fumava emettendo grandi bolle dai boati silenziosi. Camilla ne era profondamente affascinata, trovava le sue spalle deperite e brinose così attraenti che squadrandolo spesso si mordeva inavvertitamente le soffici labbra screpolate. Ciò che la attraeva di più erano le sue mani gonfie di lavoro, imbottite di una forza sproporzionata per reggere quel’esile filo di tabacco. Camilla se la prendeva soprattutto con il trasporto urbano che costringeva l’uomo ad aspettare sul ciglio opposto -Che rabbia! Se aspettasse qui si potrebbe… chissà! O forse no, magari…giusto per fare amicizia! -
In ogni modo, Camilla aspettava ogni mattina nel suo candido cono e ripeteva il suo piccolo rituale leggendo il lampione e controllando gli orari. Quel giorno il tipo fumante sedeva sul ciglio opposto ammirando col naso all’insù la sua piccola luce artificiale. -In effetti però…- si ripeté Camilla sbirciando le grosse mani–Chi osa sempre solo è e l’oscurità trova davanti a sè- . In attesa di assimilare quel concetto probabilmente gelatosi tra occhi e cervello Camilla continuava a tamburellare il piede sul marciapiede, poi ad un tratto, una scintilla di determinazione infuocò il braciere del suo coraggio. Si decise, e mosse alcuni esili passi verso il confine luminoso ma, appena entrata in contatto col buio, ritornò d’istinto ad abbracciare il suo lampione sudato. Senza aver il tempo di prender fiato, l’ autobus passò cancellandola da quel quadro scolorito.
–Che figura, chissà se mi ha notato. Che razza di stupida, ma cosa volevi ottenere Camilla? Eh? Presentarsi alle 5 di mattina. Ciao sono Camilla che bella giacca che hai? Con uno sconosciuto poi!- pensava la donna tra sé seduta sul sedile tiepido dell’autobus. Durante le mattine seguenti non alzò lo sguardo, neanche per un attimo, era sicura che lui anche a distanza fosse in grado di leggere il suo instabile elettrocardiogramma emotivo. Acquisita un po’ di razionalità, col passare dei giorni si fece forza e riprese i suoi piccoli rituali continuando però a mordersi insistentemente le labbra ad ogni sfuggevole sguardo. –L’oscurità c’è ma forse non è per te- -Sì certo…- pensò Camilla leggendo un altra frase graffiata a pochi centimetri da quella precedente –Ma dove le trovano queste poi-
Forse per una strana combinazione di eventi, forse per gioco, Camilla questa volta decise di prendere il suo lampione sul serio e si sforzò di incastrare quelle parole nella sua vita, in qualche modo, tentando di dargli una forma diciamo, concreta. Ma ogni tentativo fu vano fino a che tutto accade così, in un attimo. Un giorno scese dall’autobus nel primo pomeriggio, in quel momento delle giornata le due piccole isole di luce scomparivano inghiottite dalla marea diurna. Camilla si fermò davanti al lampione grugnendo –Cosa mi vuoi dire?! Che cosa devo fare?!-. La donna vomitò imprecazioni roteando fino ad esplodere in una serie di calci contro il povero palo che cominciò a vibrare, poi prese una pietra e la scagliò con tutta forza, in alto dall’altra parte della strada. Infine, scarica, si diresse ricurva verso casa.
La mattina seguente, Camilla ancora assonnata prese posto come sempre nel suo cono. Sfregandosi un po’ gli occhi illuminati dai riflessi delle lenti, notò qualcosa di diverso. Tutto l’ambiente intorno era nero inchiostro, il lampione dell’amato emetteva qualche scintilla, ma era spento, per la precisione sparso in tanti piccoli cocci taglienti che giacevano sull’asfalto gelato. “Preferisco un po’ di luce” proruppe una voce profonda dall’oscurità. La faccia dell’uomo andò delineandosi a mano a mano che entrava nel fascio luminoso. “Ha visto il lampione? Non mi piace stare solo lì nel buio”. Camilla dapprima non disse nulla, poi noncurante domandò “Non pensavo che qualcuno incominciasse i turni così presto, che autobus prende?” “La 54” “Aspetti ma, deve essersi sbagliato la 54 passa più in giù 200 metri a destra, non se n’è mai accorto?” “Beh…sì” rispose lui. Camilla non nascose un tenue sorriso mentre lui, guardando imbarazzato l’oscurità, continuò ad abbracciarsi per conservare il poco calore in corpo.
Finalmente da lontano due piccoli anelli luminosi rinfrancavano Camilla che ancora una volta ce la faceva ad arrivare per le 5.50 puntuale puntuale all’apertura dei forni. A dirla tutta la sua ansia aveva un’origine molto più ingarbugliata. Da oramai un anno si era accorta che dall’altro lato della strada, sotto il lampione antistante, si fermava sempre un uomo, un tale mal acconciato che vestiva una giacchetta bisunta e che fumava emettendo grandi bolle dai boati silenziosi. Camilla ne era profondamente affascinata, trovava le sue spalle deperite e brinose così attraenti che squadrandolo spesso si mordeva inavvertitamente le soffici labbra screpolate. Ciò che la attraeva di più erano le sue mani gonfie di lavoro, imbottite di una forza sproporzionata per reggere quel’esile filo di tabacco. Camilla se la prendeva soprattutto con il trasporto urbano che costringeva l’uomo ad aspettare sul ciglio opposto -Che rabbia! Se aspettasse qui si potrebbe… chissà! O forse no, magari…giusto per fare amicizia! -
In ogni modo, Camilla aspettava ogni mattina nel suo candido cono e ripeteva il suo piccolo rituale leggendo il lampione e controllando gli orari. Quel giorno il tipo fumante sedeva sul ciglio opposto ammirando col naso all’insù la sua piccola luce artificiale. -In effetti però…- si ripeté Camilla sbirciando le grosse mani–Chi osa sempre solo è e l’oscurità trova davanti a sè- . In attesa di assimilare quel concetto probabilmente gelatosi tra occhi e cervello Camilla continuava a tamburellare il piede sul marciapiede, poi ad un tratto, una scintilla di determinazione infuocò il braciere del suo coraggio. Si decise, e mosse alcuni esili passi verso il confine luminoso ma, appena entrata in contatto col buio, ritornò d’istinto ad abbracciare il suo lampione sudato. Senza aver il tempo di prender fiato, l’ autobus passò cancellandola da quel quadro scolorito.
–Che figura, chissà se mi ha notato. Che razza di stupida, ma cosa volevi ottenere Camilla? Eh? Presentarsi alle 5 di mattina. Ciao sono Camilla che bella giacca che hai? Con uno sconosciuto poi!- pensava la donna tra sé seduta sul sedile tiepido dell’autobus. Durante le mattine seguenti non alzò lo sguardo, neanche per un attimo, era sicura che lui anche a distanza fosse in grado di leggere il suo instabile elettrocardiogramma emotivo. Acquisita un po’ di razionalità, col passare dei giorni si fece forza e riprese i suoi piccoli rituali continuando però a mordersi insistentemente le labbra ad ogni sfuggevole sguardo. –L’oscurità c’è ma forse non è per te- -Sì certo…- pensò Camilla leggendo un altra frase graffiata a pochi centimetri da quella precedente –Ma dove le trovano queste poi-
Forse per una strana combinazione di eventi, forse per gioco, Camilla questa volta decise di prendere il suo lampione sul serio e si sforzò di incastrare quelle parole nella sua vita, in qualche modo, tentando di dargli una forma diciamo, concreta. Ma ogni tentativo fu vano fino a che tutto accade così, in un attimo. Un giorno scese dall’autobus nel primo pomeriggio, in quel momento delle giornata le due piccole isole di luce scomparivano inghiottite dalla marea diurna. Camilla si fermò davanti al lampione grugnendo –Cosa mi vuoi dire?! Che cosa devo fare?!-. La donna vomitò imprecazioni roteando fino ad esplodere in una serie di calci contro il povero palo che cominciò a vibrare, poi prese una pietra e la scagliò con tutta forza, in alto dall’altra parte della strada. Infine, scarica, si diresse ricurva verso casa.
La mattina seguente, Camilla ancora assonnata prese posto come sempre nel suo cono. Sfregandosi un po’ gli occhi illuminati dai riflessi delle lenti, notò qualcosa di diverso. Tutto l’ambiente intorno era nero inchiostro, il lampione dell’amato emetteva qualche scintilla, ma era spento, per la precisione sparso in tanti piccoli cocci taglienti che giacevano sull’asfalto gelato. “Preferisco un po’ di luce” proruppe una voce profonda dall’oscurità. La faccia dell’uomo andò delineandosi a mano a mano che entrava nel fascio luminoso. “Ha visto il lampione? Non mi piace stare solo lì nel buio”. Camilla dapprima non disse nulla, poi noncurante domandò “Non pensavo che qualcuno incominciasse i turni così presto, che autobus prende?” “La 54” “Aspetti ma, deve essersi sbagliato la 54 passa più in giù 200 metri a destra, non se n’è mai accorto?” “Beh…sì” rispose lui. Camilla non nascose un tenue sorriso mentre lui, guardando imbarazzato l’oscurità, continuò ad abbracciarsi per conservare il poco calore in corpo.