martedì 16 dicembre 2008

inchiostro giallo blu

M. aveva tentato più volte di scrivere qualcosa di significativo. Avvolto nella sua coperta, covava in quel tepore cumuli di fantasie che riversava a valanga nel suo computer dai tasti consunti. La luce dello schermo accentuava i rilievi del volto e ne amplificava la fattura creando ombre deformi sul muro color panna. A guardare quel riflesso sembrava, forse non a torto, di scorgere un mostriciattolo avido di completare il suo sogno di conquista. -Fatto! Adesso, vediamo un po'. Invia, concorsi... Quota di partecipazione pagata, conferma. Speriamo bene-.

M. aveva appena finito il suo ultimo racconto e, tutto ringalluzzito, scoppiettava dall'emozione. In cuor suo era certo di aver raggiunto quella sintesi di stile e significato che da tanto ricercava. Spense il computer e guardò la luce dei lampioni fuori dalla finestra. Si impigiamò in quattro e quattr'otto e rintanatosi nel suo lettuccio calduccio si ritrovò subito a sognarsi vincitore di strampalati premi per scrittori. Passavano i giorni, le settimane, M. controllava la posta elettronica assiduamente, ansimava, il cuore batteva forte forte ad ogni nuovo messaggio ricevuto. Poi una mattina, la tragedia. “Siamo spiacenti, ma il suo racconto non ha vinto né il primo, né il secondo, né il terzo premio, né il premio giovane promessa, né il premio speranza per chi non ce l'ha”. M. prese la nuova notizia molto male.

N. era un suo grande amico, aveva imparato a farsi cuscino di fronte agli sbalzi d'umore dell'amico. Qualcosa lo preoccupava: M. era solito esternare il proprio disappunto senza contegno. Pianti, panico, desiderio di paternità... Ma questa volta vi era qualcosa di diverso nel suo comportamento. N. aveva invitato M. a cena per aiutarlo a dimenticare il fattaccio.-Sai che hanno scoperto una cura per il virus GIGI? E' un evento straordinario di cui beneficerà il mondo intero!- esclamò N. facendo tremare piatti e posate-. M., succhiando la sua zuppa di cavoli e patate, bofonchiava incurante qualcosa come: - Sbuf! Sbuf! Che me ne... Sbuf! ...porta-. N. tentava invano di rassicurarlo e di ricucire il povero ego dell'amico, ridotto in pochi stracci sfilacciati. La mattina seguente N. si recò a casa di M. per sincerarsi delle condizioni dello scrittore incompreso. Lo trovò in giardino, con un pala, che scavava una grande buca-M. cosa diavolo stai facendo? Sei fuori di senno?-M. continuava il suo scavo. Senza alzare lo sguardo monologava tra sé: -Me la pagheranno, me la pagheranno, tutti quanti...-

Poco a poco le visite di N. si fecero sempre più rare. M. trascorreva tutto il suo tempo a scavare, dialogando con sassi e vermi nel mezzo di quella grande buca che a causa della pioggia persistente si trasformava ogni giorno in una culla di rancore e fanghiglia. Era talmente profonda ed estesa che ricopriva tutto il giardino. I lavori continuarono fino a che un giorno M. alzò lo sguardo e vide il sole dai contorni argillosi che giudicava con la sua luce il suo profondo lavoro. Si asciugò la fronte, uscì dalle viscere del terreno e salì in auto sgommando.

N. seguiva gli spostamenti dell'amico. Vivendo lì vicino aveva notato che l'affranto scrittore partiva la mattina presto e tornava a notte inoltrata continuando a trafficare attorno a quell'incessante cantiere. Un giorno, non vedendo più grande attività, N. si decise a recarsi di prima mattina a casa di M. Saltò il muro di cinta e lo vide, addormentato su un gran cumulo di ciò che a prima vista sembrava plastica colorata. N. si avvicinò con passo felpato per non far scricchiolare l'erba incastonata in gocce di rugiada. Notò da subito che non si trattava di plastica, bensì di una montagna di penne che ricopriva la buca, un cumulo che rifletteva un frullato di colori dalle sfumature plastiche che si animava con la rotazione della luce solare.

N. si chinò e vide penne di ogni tipo: a forma di fiore blu e giallo, cubiche, ad inchiostro multiplo, longilinee con una seghettatura nel mezzo, a scatto, morbide con cappuccio colorato, a forma di squalo con indosso maschera e tubo... Mentre N. procedeva nel suo lavoro di catalogazione pennifera, M. vegliatosi in piedi sulla montagna già tagliava con la sua ombra la visuale dell'amico. Poi con tono scortese disse: -Che ci fai qui?- N. lasciò cadere quei capolavori tascabili e rispose: -Che ci faccio qui? Che ci faccio qui?!?! Che cosa stai facendo tu piuttosto... qualcosa si è incastrato in quel giocattolo che hai sopra le spalle! Che cosa vuoi farne di tutte queste penne?-

Riporto un po' di equilibrio - rispose subito M., saltando giù dalla cima con un balzo.
N. lo guardava aspettando maggiori spiegazioni. -Gli scrittori si sentono defraudati, inutili. Non ricevono abbastanza attenzioni. Perché? Non sono capaci, non sono dotati? No... Hanno sfiga, ineluttabile sfiga!!- M. aggirava il suo discorso come un branco di lupi che attira la preda in una trappola a lungo meditata. N. ascoltava, mentre la luce riflessa sulla montagnola lanciava raggi gialloblu alla sua guancia, riscaldandola. -Ora basta, ORA BASTA! Ho raccolto quante più penne possibili, così nessuno potrà più scrivere, almeno per un po'. Non è giusto cullarsi in un universo di false speranze, nessuno vuole sapere quello che hai dentro e tanto meno leggerlo. Tentare... Quanto tempo buttato al vento! Stop all'espressione! Farà bene a tutti quanti sentirne la mancanza... Li salverò io, quelli simili a me-.

N. abbassò lo sguardo e si morse una mano quasi per spezzare il suo grido di disapprovazione. -Capisco...che egoista che sei! Meriteresti di scioglierti nella tua stessa montagna di plastica e vendetta. Sei stato proprio bravo! Ci vuole un vero artista per camuffare il proprio risentimento con un mantello di mal interpretata giustizia. Invece di accusare tutti, chiediti perché è così importante essere letti, essere scoperti. Scusa, ma non credo che tu ne sia capace, in fondo, fino ad ora sei stato troppo intento a scavare...la buca sbagliata. Me ne vado!-

Le sue parole rimasero incastrate nelle cannette colorate delle penne frantumandosi in mille suoni diversi, ma mantenendo lo stesso tono e significato che ormai solo M., impietrito, poteva udire. N. se se andò accennando una corsa.


Molto tempo dopo, N. tornava a casa dal lavoro. L'oscurità già ricopriva il giovane quartiere residenziale in espansione. Vedeva il suo respiro farsi vapore nell'atmosfera invernale. Prima di varcare la soglia di casa passava spesso vicino a quella di M.. La buca era vuota, il giardino incolto e l'intera struttura abbandonata ormai da diversi anni. Dopo quella mattina, non aveva avuto più notizie né di M., né delle sue penne. Tutto ciò che rimaneva di quell'amicizia era dell'erba alta e qualche tonnellata di terra risecchita. Arrivato sulla soglia di casa controllò la casella metallica della posta, e vi trovò una lettera dalla busta rigonfia, senza mittente. L'aprì e al suo interno vi era una biro dalla forma semplice e liscia al tatto. La lettera non portava né firma, né spiegazioni. Quella sera infagottato nel letto, N. spense la luce, scansando con gli occhi le ombre colorate dalle luci dei lampioni nel vicolo sottostante, posò lo sguardo sulla penna che giaceva sul comodino. Prima di addormentarsi si immaginò M. in qualche paese povero e soleggiato a distribuire pennini ai bisognosi, poi lo dipinse chiuso in una casa solitaria a consumare tutte le stilografiche scrivendo e riscrivendo la sua redenzione...In fondo non importava molto dove M. fosse., N. infatti, già dormiva stringendo quel dono sottile tra le mani.




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