giovedì 29 novembre 2007

Lago di Selva. (eh?)


































Allora poco tempo fa, visti gli scarsi risultati lavorativi ho aperto la cartina del mio amato Friuli e ho deciso di visitare questo lago. Lo sconsiglio a chiunque abbia tendenze depressive in quanto potrebbe cadere nella tentazione di lanciarsi dalla diga lì presente, io ero andato con l'intenzione di farlo ma poi era così triste che piuttosto avrei buttato giù la diga. Comunque se siete friulani e sprizzate allegria tanto da non poter stare fermi organizzate un bel pic nic sul lago di selva, tristezza assicuarata tutto l'anno. Tutto lo scritto sotto era estremamente noioso (ingenieri..), ma ciò messo il mio tocco quindi leggettelo (economisti..).

Come raggiungere la diga


Prendete la macchina (non esistono corriere da quando l'ultimo autista si è fermato lì ed diventato de facto il custode della diga, la corriera è ancora lì. In realtà i passeggeri sono diventati la ridente comunità di Selva. Sperano un giorno di tornare dai loro cari, chiudete bene la macchina quindi e non parlate con nessuno di nessun altro argomento che non sia la diga. Altrimenti si ricorderebbero che esiste un mondo al di fuori del lago e ciò renderebbe le cose un pò difficoltose) e andate verso Spilimbergo, poi Maniago e quindi via in allegria direzione Faidona. Passato l'abitato si proseguite per Chievolis (dove si trova la centrale alimentata direttamente dalla diga) da cui si svolta verso la vallata in direzione sinistra (attenzione a non andare verso Inglangna se no veramente non tornate per cena), da qui si prosegue diritti per una strada asfaltata (insomma asfaltata) fino a raggiungere il bivio presso l'abitato di Selva. Per raggiungere la diga bisogna svoltare a sinistra e dopo pochi metri ci si trova nei pressi dello sbarramento, ripeto lo Sbarramento. Girando a destra al bivio si prosegue invece per la diga di Cà Zul (ecco qui andateci solo dopo che siete sopravissuti in salute alla esperienza "Selva", non strafate anche perchè vi descrivo, così per buttarla lì, la strada per quest' altro magnifico specchio d'acqua verde natura. Insomma, girando a destra per la strada principale si raggiunge l'imbocco di una galleria. La galleria in questione non è altro che un traforo su roccia viva, rettilineo di lunghezza di circa 1,5 km e non illuminato. La larghezza della galleria consente il passaggio di un solo veicolo per volta, ma all'interno di esso è presente uno slargo che dovrebbe consentire l'avvicendamento di due mezzi, o farvi girare la macchina per tornare indietro a 550 all'ora urlando "amo la vita!". Le infiltrazioni d'acqua sono tali da dover utilizzare spesso il tergicristallo. Poco dopo la prima galleria ve nè un'altra con le stesse caratteristiche e lunghezza e al termine di questa l'agognata diga. Guardate la foto in bianco e nero intitolata Galleria di collegamento per capire di cosa si tratta. Nei pressi della diga sono presenti alcuni spiazzi per parcheggiare. Strada da percorrere, circa 4 Km in auto). Lo spazio di parcheggio migliore è sopra la diga, tra le paratoie degli scarichi di superfice e il coronamento (lasciate un uomo di guardia per sicurezza, ah portate qualcuno a cui magari non volete tanto bene, lui capirà). Durante il ritorno, poco dopo Selva, appena girata la montagna, direttamente sulla strada, si può identificare chiaramente (io non l'ho vista) la cava dalla quale è stato estratto il materiale per la costruzione della diga.

Descrizione dell'impianto.

La storia degli impianto della valle del Meduna sono legato a doppio filo alla storia dello stabilimento industriale di Torviscosa. L'impianto di Cà Selva era stato costruito per fornire di elettricità lo stabilimento Soda Cloro che con la fine degli anni 50 aveva aumentato notevolmente la sua produttività.Le acque dello sbarramento di Cà Selva vengono sfruttate dalla centrale di Chievolis. L'impianto di Cà Selva è sicuramente uno dei più belli del Friuli (questo lo dici tu pazzo ingeniere elettrofilo, chissà quante specie di api non hai massacrato spalmando cemento come burro. Dovevi fare il cuoco, altro che usare le valli come teglie per i tuoi pastrocchi). Lo sbarramento impressiona sia per l' altezza che per la lunghezza del suo coronamento (altezza 110 metri). La diga in superfice, è dotata solamente di scaricatori con paratoie situati sul lato sinistro della diga. Interessanti gli scivoli dello scarico che partendo da ciglio diga arrivano fino a fondo valle (sembrano quelli dei parchi acquatici!). Lo scarico di fondo è situato sul lato destro della valle ma il suo scarico a valle non è chiaramente visibile. La presa per la centrale è situata sul lato sinistro della valle poco distante dalla diga. Come aneddoto, il custode (io l'ho conosciuto!!) della diga ci ha raccontato che quando si apre lo scarico di fondo, trema tutto, diga compresa (quando succede a Selva fanno la sagra si chiama "Selva-ggiamente aperti" da non perdere).

francesco

mercoledì 28 novembre 2007

a colloquio. Parte II: per aria

ecco la continuazione....

Tantissima luce e un caldo da scoppiare come un palloncino rosso che sale troppo in alto. Più che la luce però, aprendo gli occhi si accorse che qualcos’altro gli mordeva la pelle; un’umidità pungente trascinata dal vento stava penetrando fin nelle giunture ossee. Si alzò ed era nel bel mezzo di un deserto, il Prof. era in piedi che scrutava qualcosa di indefinito col suo monocolo “Sei proprio un pivellino ti sei addormentato subito e ti sei perso la parte migliore del viaggio, comunque ho scelto una zona di atterraggio estremamente efficiente, sono troppo bravo! Ah questa volta ce la faccio” commentava da solo il docente “A fare cosa? E poi che ci facciamo qua? Scelto un posto per l’atterraggio? Prof. mi dica qualcosa non ci capisco niente io vengo a colloquio e lei mi porta in questo, cos’è poi questo posto?!” sbraitava Alessandro che subito si zittì vedendo che si trovava nel bel mezzo di un deserto innevato, montagne, ghiacciai acque blu scuro a ovest mentre subito dietro di lui una foresta altissima con alberi dai centocinquanta ai duecento metri. C’era un sacco di neve ed era calda! Ma le sorprese non erano finite si sentiva, infatti, un sibilo lontano, acuto sempre più sottile e penetrante mentre nel cielo si profilava una sagoma di un oggetto con ali da Boeing e con tanto di lucette e rotori. Aveva venti forse trenta metri di apertura alare. Alessandro sgranò gli occhi, faceva fatica a crederci in realtà non si trattava di un Boeing ma di una tigre con le ali! L’essere sfrecciò sopra gli avventurieri spostando palate d’aria e ruggendo così forte da far cadere i due a terra. Alessandro si alzò mentre il Prof. disteso con la pancia all’aria faceva proprio ridere “Prof. cos’era quello!?” Il Prof. sbuffando e mettendosi la pancia a posto urlò “Non è tempo di domande ragazzo! Corri” “Ma io….” Il ragazzo si zittì ancora a voltandosi vide una grande massa scomposta di individui tutti diversi che correva all’impazzata alzando un gran polverone di neve scottante. Alessandro attonito scrutava quegli esseri avanzare quasi incantato. C’erano alcuni che avevano facce a forma di triangolo colorate di una tinta verde con lineette viola sul collo che si propagavano in tutto il corpo scoperto formando parabole che crescevano esponenzialmente poi all’esterno della persona stessa. Altri il cui naso mutava continuamente sia nelle tonalità che nelle forme. In prima linea si distingueva un gruppo velocissimo che usava solo in parte le gambe, infatti gli individui di quel drappello reggevano una lunghissimo bastone; come i più grandi saltatori d’asta iniziavano una corsa, piantavano il palo nel terreno e volavano macinando metri e urlando al vento cose del tipo “Akbar aka ghnamn foner!”. Alessandro, vista la situazione seguì il consiglio del Prof. e si mise a correre a più non posso dietro il suo goffo mentore che mantenendo una mano sul cappello da pescatore lanciava le gambe in avanti. Facendo quel movimento disarticolato stile merlo il docente si muoveva ma procedeva comunque lentissimo tanto che Alessandro decise di portarlo in groppa. Una volta in spalla il Prof. si mise a gesticolare brandendo la mano indicava direzioni e dava consigli allo studente che comunque non capiva e intanto sprizzava sudore. Il povero ragazzo che doveva essere a cena per le otto si trovava in un deserto di neve calda a cacciare una tigre di linea col suo Prof. inseguito da personaggi a quattro dimensioni, quella situazione aveva definitivamente un qualcosa di surreale. La tigre alata era fuggita nella foresta e i due universitari, avendo molto vantaggio su gli altri, la raggiunsero per primi: entrando tutto si fece silenzio. Il Prof. estrasse dal suo zaino anni 30’ un fucile con una canna montabile lunghissima forse quattro o cinque metri “Prof. io non ne posso più, adesso mi siedo qui e non mi muovo finché lei non mi spiega chi sono quei personaggi là, che cos’è quella roba che vola e perché mi ha trascinato in tutto questo!” “Certo che sei proprio un tarlo tu…sarò breve che non abbiamo tempo. Ogni anno più o meno nello stesso periodo ci raduniamo io ed alcuni appassionati e organizziamo la cosiddetta caccia alla tigre motoalata. E’ bello si incontrano tanti vecchi amici si fa festa e si vince un premio, tu sei giovane, forte e anche se non sembra sei intelligente. E’ un po’ come la caccia della domenica al fagiano coi cani, con la variante che qui è sempre domenica non c’è il fagiano e tu sei il mio terrier!” “Che bello grazie, adesso si che sono sollevato” rispose Alessandro sarcasticamente “In effetti tutto torna, tralasciando il fatto che in questo posto ci si arriva con un ascensore che parte dalla sua scrivania, che i suoi amici sono verdi e che questa tigre ha delle ali con i motori. Prof. voglio tornare a casa se lo cacci da solo il suo predatore 747” diceva Alessandro ormai in preda alla disperazione “Senti se vuoi veramente tornare a casa non mi annoiare con le tue panzanate e aiutami. Dammi una mano con questo arnese, sai per una tigre grande ci vuole un fucile grande”. Alessandro sconsolato si accorse che non aveva molta scelta quindi aiutò il Prof. a montare il fucile. Questo arnese era talmente lungo che i due dovevano reggerlo rimanendo in fila indiana, camminando con passo felpato si misero a cercare la tigre in silenzio. A ogni passo qualcosa scricchiolava, dentro quella foresta avvolta da un silenzio così profondo appunto ogni piccolo rumore nato dal movimento dei due subito riempiva la totale mancanza di suono. Attorno gli alberi erano così alti che non si capiva se avessero una chioma là in cima o se, in realtà, esistesse solo un tronco spelacchiato. In ogni modo, dopo un lungo cammino senza direzione il Prof. si fermò fece un cenno e si abbassò, i due sistemarono il fucile e guardarono oltre i cespugli. La tigre era lì a pochi metri e si stava leccando le ali metalliche in riva a un lago d’acqua blu scurissimo, dopo un pò quasi non si fosse accorta dei due si mise a bere. Continuò a bere e a bere e a bere tanto che tra un glu e l’altro prosciugò quasi tutto lo specchio d’acqua. Poi si prese un attimo e si guardò attorno con le zampe sul panciotto peloso, con gran discrezione lanciò un rutto potentissimo proprio nel momento in cui il Prof. inquadrata la testa dell’animale stava premere il grilletto. Il vento fortissimo piegò gli alberi lanciò per aria il professore che sparacchiando nel vuoto sembrava un pallone beige col cappello, anche Alessandro non riuscendo ad aggrapparsi alla pietra volò in aria fino a che cadde lontano su una duna di sabbia. Disteso sul quel soffice manto vide la tigre alata volare verso est “Questo cielo è proprio di un blu bellissimo”. Alessandro si stava godendo quel magnifico attimo di delirio dovuto alla caduta chiuse gli occhi ma d’improvviso tornò in se. Si alzò pulendosi la sabbia dai pantaloni sgualciti, tutt’attorno c’erano solo pietre e un deserto sabbioso senza palme, lo studente cominciò a tremare dal freddo e subito si ricordò che lì i deserti funzionavano al contrario. Il sole sulla sua testa produceva quel gelo pungente che gli ricordava le buie notti d’inverno a cui era abituato il ragazzo quando ritornava a casa per le vacanze. Alessandro non sapeva dov’era il Prof., invece di volare a casa per cena era volato in un altro deserto e come se non bastasse stava congelando. Arrancava abbracciandosi per recuperare un po’ di tepore, camminò per ore ma il sole non accennava a scendere “Magari” pensava lo studente con amara ironia “Visti i precedenti, sorge una luna torrida”. Comunque tutt’un tratto vide da lontano fuochi, tende, sentiva fisarmoniche o almeno così sembrava si intravedevano comunque diverse persone che cantavano e ballavano. Si avvicinò con gran gioia e si accorse di essere nel bel mezzo dell’accampamento degli amici del Prof. che un po’ alticci grigliavano carni blu e bevevano vino terrestre!. I corridori con l’asta si allenavano ubriachi e svolazzando di qua e di là cadendo sulle tende, sulle griglie e sulle persone stesse provocando danni incalcolabili. “Avete visto un uomo che si fa chiamare il Prof., beige, pancetta, baffetti sulla cinquantina?” domandava a tutti Alessandro “Akar garwe juoglwer!” rispondevano gridando gli altri. Alessandro si stava chiedendo se quella gente fosse un pochino arretrata visto che tutti rispondevano ad ogni domanda dicendo “Akar garwe juoglwer!” e aspettando una risposta, poi quasi scocciati dalla mancata comunicazione se ne andavano sbraitando “Akar garwe juoglwer!. “Basta” pensò Alessandro “Adesso mi siedo vicino al fuoco, mi scaldo e la smetto di girare a vuoto. Dormo un pò e quando riaprirò gli occhi sentirò di nuovo quell’odore di polvere della moquette, aah l’odore di polvere quanto è buono e fragrante. Sarò di nuovo a lamentarmi per il colloquio e per i miei voti…” Alessandro si addormentò e si accorse che i sogni in quel mondo dove il sole non calava mai erano estremamente reali. Sognò di volare tra le nuvole assieme alla tigre alata, anzi in groppa alla tigre e di respirare libero quell’aria così intensa, peccato che la tigre dicesse solo “Akar garwe juoglwer!” ma Alessandro ovviò quel fastidioso dettaglio e si godette il suo volo in prima classe con vista panoramica. “Svegliati aiutante delle mie scarpe!” urlava il Professore gettando secchiate di acqua blu scuro in faccia allo studente. Alessandro si svegliò maledicendo il suo ritorno a la realtà, se così si poteva chiamare. Si asciugò la faccia e subito si accorse che non aveva più freddo qualcuno infatti gli aveva infilato un enorme cappotto di pelo, al collo portava collane d’oro massiccio piuttosto leggere che avevano la forma di denti di tigre, occhi di tigre e altre cianfrusaglie simili. C’era tutt’attorno un gran movimento, i festaioli stavano sbaraccando le tende e spegnendo le griglie in gran fretta quasi tutti correvano nella stessa direzione “Dai pipinotto muoviti, prendi il fucile e montalo. L’hanno avvistata in un canyon a pochi silometri da qui dobbiamo correre un amico ci da uno strappo”. Alessandro seguì il Prof. questa volta con motivazione aveva capito che l’unico modo per uscire da quella situazione era fare fuori quel animale bimotore. Il Prof. parlò con un essere molto minuto che indossava un cappello di forma piramidale al contrario; i conoscenti scambiarono due parole (sempre quelle “Akar garwe juoglwer”) e accordarono il viaggio. Il Prof. aveva trovato un mezzo di trasporto. Questo “amico minuto” infatti possedeva una mongolfiera anch’essa a forma di piramide al contrario in tinta e direi “in forma” col cappello, al posto della comune cesta però i tre si sedettero in un specie di grande tazza da the tipo quelle delle giostre che girano su se stesse. “Chiaro!” pensò Alessandro con ironia “Non poteva essere una normale mongolfiera con la classica cesta in vimini troppo retrò vero…?”. Il Professore non curante una volta in alto si mise a scrutare quel deserto sabbioso col suo monocolo, tutt’un tratto lo stesso sibilo ormai conosciuto si avvicinò all’improvviso. Attorno si erano alzati in volo gli altri concorrenti e lo avevano fatto in maniera a dir poco alternativa. Vi erano alcuni che con grosse catapulte si facevano lanciare da terra a gran velocità e armati di retino gigante speravano di acchiappare il peloso animale. A questi facevano concorrenza i conosciuti saltatori d’asta che con bastoni ancora più lunghi svolazzavano urlando sempre “Akar garwe juoglwer” questi, al contrario, si affidavano alle loro nude mani per tentare di stritolare la preda. Si distinguevano inoltre mongolfiere, aerostati a forma di teiera o caffettiera ma nessun altra tazza. La tigre scansava tutti spostando, come al solito, grandi masse d’aria tanto che sia i saltatori d’asta e i catapultati mancavano l’obiettivo deviando la loro parabola e finendo urlanti con relativo eco tra le crepe dei profondi canyon sottostanti. La tigre passò poi vicinissima alla mongolfiera e con i suoi rotori fece sobbalzare tutta la tazza da the, Alessandro cadde a terra e rialzandosi cercò l’equipaggio. Trovò subito il minuto amico che era rotolato al suo fianco mentre quel bonzo del suo docente era sparito! Dal basso si sentivano grida così forti che Alesando si sporse “Prendi questo brutta bestiaccia a gasolio!” Il Professore era sospeso nel vuoto tre metri sotto la tazza, era rimasto agganciato alla mongolfiera con un corda che teneva in una mano mentre con l’altra reggeva il suo fucile dalla lunghissima canna. Da là sotto lanciava maledizioni e sparava, i colpi erano in realtà grandi chewing gum rosa estremamente appiccicosi e adatti alla cattura dell’animale. La tazza da the, intanto, viaggiava inclinata visto che quella palla beige era ancora agganciata spostava tutto il peso dalla parte destra, l’aerostato stava lentamente perdendo quota “Prof. la smetta di fare l’eroe torni su! Qua ci schiantiamo!” Il Prof. già non c’era più, il suo momento da eroe circense aveva dovuto fare i conti con le troppe grigliate di carne blu e le deboli braccia frutto di un lavoro da intellettuale. Alessandro in preda al panico vide ancora una volta il suo docente cadere come un pallone in mezzo al mare provocando un mini tsunami mentre la tigre già volava via libera in direzione opposta. La mongolfiera perdeva quota “No ancora un volta no…hei tu!” urlava Alessandro all’amico minuto “Fai qualcosa riportala in quota, per dio stiamo precipitando!” Il proprietario dal bizzarro cappello piramidale guardava Alessandro e urlava sparando gli occhi fuori dalle orbite come palloni “Akar garwe juoglwer!”. Come niente fosse si lanciò anch’egli nel vuoto. “Ecco ci mancava solo questa, d’ora in poi ti tieni il voto che hai e non vai più a colloquio” pensava lo studente. Alessandro chiuse gli occhi, si tappò il naso e ormai solo lasciò quella strana piramide volante tuffandosi nel mare blu scuro sottostante evitando così lo schianto. L’acqua era dolcissima e densa sembrava di nuotare nel miele, subito si tolse il cappotto di pelo e le collane. Stanchissimo lo studente nuotò fino alla prima spiaggia, era vivo e ancora una volta disteso e fradicio guardava il cielo blu intenso: voleva quella tigre, voleva tornare a casa.

francesco

mercoledì 14 novembre 2007

cuore biscottato

Questa è la storia di un salame che non era come gli altri. Da quando era nato nel suo primo frigo nido tutti gli altri salami lo avevano sempre preso in giro. Loro infatti erano tutti grassocci, pieni di insacchi e rossi di carne cruda però lui era diverso, infatti, era un salame di cioccolato. Nessuno gli aveva mai detto che fine avessero fatto i suoi genitori o perché dovesse vivere quell’esistenza così fredda priva di alcune figure importanti come ad esempio gli zii, i cugini o i fratelli. Di amici ne aveva tanti e tra quelli era sempre andato d’accordo con i piselli surgelati che chiamava con affetto “Pises” mentre loro di rimando lo apostrofavano con il sopranome “Ciocchi”. A Ciocchi piacevano i suoi amici Pises (erano tanti quasi 1000 e tutti verdi pisello) primo perché fatta una battuta ridevano tutti quanti avendo lo stesso senso dell’umorismo, era troppo spassoso! Secondo, perché erano quelli buoni non di marca e quindi essendo più genuini capivano meglio le emozioni di quel salame così solo. “Insomma ragazzi io non ne posso più di tutti questi insulti, che cosa vogliono da me quei sacchi di grasso. Ho capito sono dolce e non salato, marrone e non rosso, biscottato e non ripieno ma anch’io ho il diritto di essere un salame come gli altri!” diceva Ciocchi ai Pises che rispondevano all’unisono “Lo sappiamo e crediamo che alla fine tu ti senta solo. Sai noi non siamo mai soli viviamo sempre tra nostri simili, comunque ti abbiamo procurato una teglia di sola andata per un frigo in periferia. Potresti andartene per un periodo cercare i tuoi simili, tornare con loro e fare vedere a quei porchi che razza di salame sei!”. Ciocchi prese la teglia e tornò nel suo angolino, guardando il ghiaccio si immaginò un mondo di cioccolato dove nessuno era discriminato. Stanco si mise a letto rimboccò la carta velina e dormì con la speranza che ormai riempiva il suo cuore biscottato. Il giorno dopo, Ciocchi, tornando dal lavoro (per il quale si faceva letteralmente a pezzi) incontrò sulla via per il frigo i “Lupi” ovvero la banda dei 13 peggiori salami carnuti che sempre lo sbeffeggiavano. “Allora zuccherino? Sei stato a trovare i tuoi amici Bignè, quelli tutti carini pieni di panna e un po’ dell’altra spiaggia? Non sei degno di chiamarti salame, perché non te ne vai a quel congelatore!?” Ciocchi non rispondeva ma col cacao negli occhi continuava a camminare, intanto però, quei bravi avevano già preparato il loro vile assalto lanciando uova a pioggia sul dolce salame che spinto dal peso cadde di faccia sul pavimento umiliato nel profondo. Rimase qualche attimo in quello stato ricoperto di tuorli e proprio in quel mentre quasi si fosse creata una connessione più potente del tempo e dello spazio si rese conto che esistevano tanti suoi simili, chiudendo gli occhi riusciva a vederli a sentirli; le loro voci i loro sentimenti, anche loro cercavano compagnia, giustizia e gli davano forza, era bellissimo. Ciocchi si rimise in piedi più potente che mai, i bravi continuavano a tirare tuorli che si fracassavano sul suo corpo marrone, lui però forte di quella speranza ritrovata continuava a camminare verso i suoi nemici “I tuorli sono inefficaci! Ragazzi lanciatene di più grossi, arretriamo!” gridavano alcuni ungheresi mentre altri pieni di paura scappavano via sbraitando “Quella cosa non è un salame di cioccolato, è un MOSTROOO”. Ciocchi recuperò alcuni dei suoi biscotti più fedeli e li lanciò con estrema precisione sbaragliando il nemico che ormai cadeva vinto e ripieno di pasta frolla. Poi, gravemente ferito dai tuorli che contagiavano il suo sangue zuccherino arrancò dai Pises, i quali lo raccolsero svenuto sulla soglia del freezer. Ciocchi riaprì gli occhi a fatica “Dove sono? Cos’è successo?” “Hai fatto fuori tutta la banda dei “Lupi”, sei arrivato fin qui in fin di vita ricoperto di tuorli, c’era il rischio di una embolia zabaionica ma ti abbiamo salvato.” risposero i Pises “Cosa avrei fatto io?!? Ma come avrei potuto? Quelli sono dei duri e io sono un dolce per la miseria!” “Beh Ciocchi ti raccontiamo la verità per quanto strana. Comunque ti stanno cercando ti abbiamo nascosto qui ma devi andartene al più presto”. Giorni dopo Ciocchi si riprese, raccolse la sua nuova teglia e al tramonto, sfruttando la luce soffusa, lasciò la casa “Sai già dove andare?” gli domandarono i Pises “Sì, questa ingiustizia deve finire, cercherò i miei simili e ci riprenderemo ciò che è nostro”. Ciocchi varcò la soglia e si sentì solo ancora una volta, nascondendo qualche lacrima caramellata, se ne andò col sole arancione senza voltarsi.

francesco


venerdì 9 novembre 2007

a colloquio. Parte I: l'ascensione

Il racconto si svilupperà in tre capitoli diversi questo è il primo!


Stava aspettando da più di mezz’ora e non ce la faceva più seduto su quella moquette che odorava di polvere. Ancora uno e poi sarebbe stato il suo turno, mancava ancora un quarto d’ora e poi il professore, come al suo solito allo scoccare delle sette, se ne tornava a suoi lavori. Intanto il povero studente che aspettava per terra se ne tornava la prossima settimana. Uscì quello prima e Alessandro cominciò a parlare con il suo collega, anche lui seduto per la lunga attesa “Sei qui per la tesi?” l’altro rispose “No, sto poco devo solo chiedergli dell’esame di venerdì” “Ah ok, si anch’io in effetti devo chiedergli dell’esame, era l’ultimo che facevo e voglio vederlo, non sono molto convinto del voto”. Uscì anche l’altro e finalmente era il suo turno “Beh ci vediamo tra un attimo tanto sto poco”. Il collega annuì e Alessandro entrò nello studio del professore “Buongiorno Professore volevo solo chiederle se…”. Alessandro non riuscì a finire la frase che stava quasi per scoppiare in una risata d’altri tempi, il professore alto, molto tondo, con i baffetti era vestito con un completo da esploratore del deserto beige, due stivali, un monocolo agganciato e uno zaino anni 30 con scritte del tipo 29 Agosto: Annapurna, io c’ero. “Mi dica veloce che come sa alle sette vado, quindi forza!” “Professore senta io volevo solo chiedergli del compito di venerdì...” “Guardi facciamo così” lo interruppe il prof. “Io devo proprio andare ma mi segua un attimo e ne parliamo va bene?” Intanto il professore si stava abbassando e a cavalcioni, come per nascondersi, si infilò sotto la scrivania tanto che Alessandro non poteva più vederlo “Insomma mi segue o no?” Alessandro stava per scappare via urlando ma visto che aveva sempre aspettato un occasione così ghiotta per conoscere il proprio prof. lo seguì sotto la scrivania e, in quel momento, si sentì come una patata prossima alla bollitura nel pentolone. Sotto la scrivania c’era un vero e proprio ascensore, il professore era dentro e aspettava dicendo “Insomma andiamo!”. Alessandro entrò scomposto e notò che l’ascensore era tutto blu però di tonalità che cambiavano continuamente, sul soffitto invece c’era il cielo stellato. Non era finto anzi era il cielo vero, più limpido di quello in montagna e si vedevano le galassie, le stelle era stupendo. L’ascensore però non era di dimensioni costanti in realtà continuava ad espandersi con costanza ed infatti stava diventando enorme. Sui quattro lati vi erano quattro grossi pulsanti di colori diversi e il professore si accinse subito a premere quello rosso prima che la parete diventasse irraggiungibile! Poi tutto incominciò ad andare velocissimo, proprio tutto, Alessandro si mise a parlare cercando spiegazioni ma la sua voce era talmente rapida che neanche lui riusciva a capirsi. Poi arrivò tanta tantissima luce e in tutto questo il professore, con quell’orrendo cappello da pescatore, se ne stava girato di spalle senza prestare attenzione. Alessandro rimase abbagliato da quel lampo, “Siamo appena passati vicini ad una stella, si chiudono sempre gli occhi la prima volta ahah” commentò il professore. Quando Alessandro li riaprì poteva vedere ancora una volta le galassie con la differenza che questa volta tutto si muoveva, poi capì che in realtà tutto l’intorno rimaneva fermo infatti era l’ascensore che viaggiava velocissimo e sfiorava pianeti verdi, comete, civiltà ancora antiche e astronavi biologiche. Il povero studente non ce la faceva più si sentiva stanco infatti lui voleva solo sapere perché aveva preso 26 e non 27, basta! Le gambe non lo reggevano, si accasciò in un angolino e dormì.

francesco